lunedì 11 gennaio 2010

I veneti antichi nelle ipotesi di Pier Favero dal libro "La Dea Veneta"


FOTO: La mostra sugli Antichi Veneti, gli Dèi dei Veneti e gli Antichi nel loro abitare il mondo che si tenne a Padova nella Loggia della Gran Guardia in Piazza dei Signori nel settembre del 2009.
Noi, educati nel cristianesimo, quando guardiano alla storia tendiamo sempre a cogliere un processo “lineare” all’interno di un vortice di situazioni estremamente complesse. Abbiamo la tendenza a comprimere il tempo passato in un insieme di presenti ravvicinati, attraverso una scelta di singoli avvenimenti che appaiono uno causa e prologo di un altro.
Quando parliamo di epoche prive di scrittura, dimentichiamo che spesso fra un avvenimento e l’altro passano decine di anni, a volte centinaia e migliaia di anni. Comprendono un gran numero di generazioni e un infinito numero di attimi, secondi di tempo, vissuti da centinaia di migliaia di persone che hanno agito e modificato il loro presente.
Nel scegliere i singoli avvenimenti (dove la scelta è in funzione di ciò che vogliamo dire) selezioniamo, scartiamo, giudichiamo, censuriamo o mettiamo in rilievo, gli aspetti che maggiormente ci interessano.
Ne nasce sempre un quadro, uguale e diverso, di avvenimenti passati che, sia che piaccia o meno, si risolvono tutti nella costruzione del nostro presente quotidiano nel quale rivendichiamo qualcosa come dovuto per ciò che gli “antenati” fecero.
Il Gazzettino pubblica aspetti del libro di Pier Favero che voglio portare all’attenzione:

Tratto dal quotidiano Il Gazzettino


Venerdì 8 Gennaio 2010,

Una decina di grandi insediamenti, dalla Paflagonia (nell’Anatolia centro-settentrionale) alla Bretagna, dal Peloponneso alla Lusazia (nord della Polonia), dalla Pelagonia (Macedonia) al Galles: è la geografia della dislocazione degli antichi Veneti, secondo alcune ricostruzioni in polemica con l’archeologia ufficiale, rilanciate nel nuovo libro di Piero Favero "La dea Veneta - Dal Baltico alla Bretagna", edito da Cierre (€ 14). Un popolo migrante, stando alla studioso (che ha già all’attivo i libri "L’oro di San Marco" e "La Marca gioiosa"), unito nella "civiltà dei campi di urne (dal tipo di sepolture praticato) e dal culto della dea Reitia, di cui è conservata una statua nel Museo Atestino (nella foto a destra). Pubblichiamo un brano dal libro.

E ancora

Venerdì 8 Gennaio 2010,

Ci vuole abbastanza coraggio per sostenere, come fa l’archeologia ufficiale, che il trovare in Europa un cospicuo numero di popoli con lo stesso nome sia solo un capriccio del caso dovuto a somiglianze fonetiche. Senza contare che quasi tutti questi pseudo-Veneti sparsi per l’Europa erano grandi navigatori e viaggiatori (i Wendi del Baltico, i Veneti di Bretagna) e avevano tutti in comune il culto del cavallo e, ancora, tutti accendevano roghi votivi quale elemento centrale delle cerimonie di culto. Tutto ciò che concerne l’origine e l’identità di Reitia, la somma dea dei Veneti, è avvolto in un fitto mistero. Pochissimi i reperti che la ritraggono. Il disco bronzeo di Montebelluna ci mostra un’elegante dea con la chiave magica in mano in compagnia di un lupo e un’anatra dalle zampe palmate. (...) Il mito di Antenore non deve far ritenere che i Veneti abbiano avuto una sola migrazione: nel corso della loro lunga storia probabilmente ci sono stati più episodi di spostamenti. Per cui, se le migrazioni e gli influssi culturali dei Veneti furono un processo «continuo» (...) É logico pensare a dei «corridoi» preferenziali in cui lo scambio commerciale, culturale e di popolazione avveniva in entrambe le direzioni e comunque principalmente lungo il vasto ponte tra Anatolia - Macedonia - Alpi Orientali - Baltico e, prima, lungo il corridoio Ponto-Baltico: Paflagonia - Mar Nero - Fiumi dell’Europa Orientale - Lusazia. Queste due famose strade dell’ambra, la via Transalpina e la via Ponto-Baltica, sono in assoluto le più antiche rotte a lunga distanza di tutta l’Europa; dalla loro traccia originarono le vie di comunicazioni dell’età del Bronzo, nel secondo millennio a. C. (anteriormente dunque al 1300 a.C. ed alla Cultura dei campi di urne). Alcuni ricercatori si sono lasciati affascinare dalla nozione dei Veneti come una delle primissime civiltà che hanno colonizzato il continente europeo. I vari toponimi veneti, oggi così distanti fra loro nella mappa geografica, forse un tempo erano legati ad una rete intessuta tra numerose tribù venete che occupavano una vasta regione dall’Anatolia al Baltico. Durante l’epoca della Cultura dei campi di urne l’area veneta era un territorio contiguo, poi, a causa delle espansioni di altre stirpi, si sarebbe ridimensionata in isole non più comunicanti. Ancora prima di quell’epoca gli Ittiti, i Frigi e gli antenati dei Troiani (Wilusa) avrebbero già separato gli Eneti della Lidia (Lukka) e del lago Van da quelli della Paflagonia. Poi nei Balcani gli Illiri, di lingua diversa dal venetico, avrebbero scompaginato e messo in movimento le tribù veneto della Pelagonia (800 a.C.); in seguito in Europa centrale, l’espansione demografica celtica prima ed i feroci attacchi dei Germani poi, avrebbero isolato i Veneti baltici e bretoni da quelli della Baviera e delle Alpi orientali. I romani a loro volta avrebbero controllato e circoscritto le zone di influenza veneta. Per arrivare infine alla emarginazione riservata dalle grandi nazioni odierne ad una popolazione saccheggiata del proprio patrimonio culturale e oramai ridotta ovunque minoranza etnica, sebbene di antichissima ascendenza e formazione. Da questo quadro generale affiorerebbe dunque un civiltà importante ed omogenea, improntata ad una fortissima religiosità; civiltà che, all’alba dell’epoca storica, prima dei Greci e prima dei Romani, avrebbero posto le fondamenta culturali e genetiche dell’Europa.


*da "La dea veneta" Ed. Cierre

di Pietro Favero*



E’ una visione del passato che, come “fatto storico”, vuole stabilire un “inizio” dal quale partire per interpretare degli avvenimenti. Sicuramente in Europa ci fu una civiltà estesa dal mediterraneo al Baltico prima del 1000 a.c. Ma di essa non conosciamo nulla. Possiamo solo immaginare dai reperti che qua e là riaffiorano. Sicuramente, per quanto è stato accertato, gli Esseri Umani, nella forma attuale, provengono dall’Africa. Sicuramente hanno occupato il pianeta in un continuo andare e venire. Gli studiosi attuali dicono che la lingua dei veneti era affine al latino, ma certamente quando arrivarono, con le buone o con le cattive, si fusero con le popolazioni già presenti in Veneto. Per cui, dire che i “veneti” arrivarono è scorretto se riferito alla popolazione del Veneto. Alcuni arrivarono, altri erano già presenti (vedi la fusione con i popoli Euganei ), la popolazione e la cultura che sorse non era né l’una né l’altra, ma un’integrazione. Lo stesso alfabeto dei veneti era l’alfabeto etrusco.
Dobbiamo uscire dall’ottica razzista cristiana che vede una razza imporsi sull’altra. Lo stesso concetto di “conquistare” non ha il significato che siamo abituati ad attribuire nell’esperienza cristiana. Gli antichi non avevano il discorso del “sangue” o della discendenza, proprio dei cristiani. La stessa radice ven- secondo vari studiosi attuali, ha il significato di “amato, amico” o quello di “conquistatori, vincitori”. Non è certo quale dei significati quei veneti attribuivano a sé stessi.
In ogni caso, fra i vari studi, se qualcuno è appassionato di storia, vale la pena di prendere quelle ipotesi in considerazione.


11 gennaio 2010
Claudio Simeoni
Meccanico
Apprendista Stregone
Guardiano dell’Anticristo
P.le Parmesan, 8
30175 – Marghera Venezia
Tel. 3277862784
e-mail claudiosimeoni@libero.it

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