mercoledì 11 maggio 2011

L'origine sociale del razzismo



Non è Giorgio Orsoni un razzista, sono loro che anziché mettersi in ginocchio, allungare la mano e chiedere la carità, pretendono di vendere qualche oggetto. Ma anche se tendessero la mano Orsoni li farebbe bastonare come accattoni: come se l'accattonaggio fosse un reato se non nella testa malata del fanatico cattolico di Orsoni.


Non è l’ambiente che rende razzisti le persone, ma è l’incapacità delle persone di gestire il cambiamento e i propri adattamenti soggettivi al variare dell’oggettività in cui queste vivono. Il razzismo nasce da categorie mentali che semplificano la realtà in cui viviamo e dalla quale ci sentiamo separati e, pertanto, minacciati nel nostro delirio di onnipotenza. L’altro non è un soggetto che agisce per sé, ma agisce contro di noi. Sempre, nella società tutte le categorie economiche e sociali, agiscono contro di noi. Però noi annulliamo la percezione dell’agire contro di noi in quanto ci collochiamo in un agire noi-loro pensandoci parte di un insieme dal quale separiamo dei soggetti che potrebbero mettere in discussione il nostro modo di vivere.
E’ l’uomo degradato, non l’ambiente.
Un uomo degradato non rivela il proprio degrado fintanto che le modificazioni ambientali non richiedono soluzioni nuove che la sua educazione non è in grado di mettere in atto. Nel momento stesso in cui l’ambiente inizia a modificarsi l’incapacità dell’individuo, di adattarsi o di non aver anticipato i cambiamenti, si rivela. In un mondo in cui l’economia mondiale si sta trasformando rapidamente e gli operai vengono licenziati e spesso sostituiti da immigrati extracomunitari a minor costo e a maggiore ricattabilità, l’operaio licenziato non coglie il “padrone” o il “capitale” come il suo nemico che ne diminuisce le capacità di reddito, ma si scontra con i lavoratori extracomunitari che percepisce come nemici. Lo scontro avviene con motivazioni razziste proprio perché l’operaio non ha la capacità di analizzare i meccanismi economici della società in cui vive.
Le categorie semplici sono un retaggio antico. Appartengono ad un ambiente sociale privo di inganno. Un ambiente in cui la sensazione, come elaborazione dei segnali oggettivi percepiti, era quasi sempre identica in quanto l’oggettività al massimo agiva d’agguato fisico, ma non costruiva inganni emotivi in cui imprigionare le persone.
Il leone era sempre un leone e un serpente era sempre un serpente. Era necessario difendersi. Così il negro è sempre un negro e il rom è sempre un rom. E’ una sovrapposizione imposta dal cristianesimo e che non c’era mai stata prima del cristianesimo. Il cristianesimo attiva stereotipi antichi semplificando una realtà per adattarla all’immaginario di un individuo che ha imprigionato in una cella psicologica. E da quella cella l’individuo guarda un mondo che non capisce e che tenta di spiegare. Tenta di spiegare, soprattutto, la sua incapacità di vivere senza dover subire aggressioni alle quali non sa come rispondere.
Riporto l’articolo farneticante:
L'ambiente ci rende razzisti?

Il caos favorisce gli stereotipi
Ricerca olandese su Science: un contesto fisico degradato porta a favorire atteggiamenti discriminatori nei confronti di chi abbiamo di fronte. Perché "incasellare" corrisponde ad un'esigenza di ordine, anche mentale, universale

di ALESSIA MANFREDI

E' POSSIBILE che il disordine, la spazzatura non raccolta da giorni, il parcheggio selvaggio e le mattonelle rotte per strada possano influire sul modo in cui pensiamo, fino a renderci razzisti? Che l'ambiente in cui ci troviamo abbia un impatto diretto non solo sul nostro umore, ma anche sul nostro modo di pensare, portandoci a ragionare per stereotipi e a discriminare chi ci sta di fronte? La risposta è sì, stando ad una nuova ricerca olandese pubblicata sulla rivista scientifica Science. Se siamo in un posto ordinato, dove non percepiamo elementi di caos, tutto va bene. Ma se capitiamo invece in contesto trasandato, cambia tutto: siamo portati a semplificare, a usare categorie preconcette anche nella nostra mente. E diventiamo più guardinghi, meno bendisposti verso gli altri, fino alla discriminazione. E' la conclusione cui sono arrivati il dottor Diederik A. Stapel, dell'università di Tilburg, e Siegwart Lindenberg, dell'ateneo di Groningen, in Olanda, dopo due esperimenti sul campo e tre studi di laboratorio. Il messaggio per le amministrazioni ed i governi locali è chiaro, secondo gli scienziati: meglio non chiudere gli occhi di fronte a palazzi fatiscenti, stazioni sporche o ospedali che cadono a pezzi. Intervenire per tempo può evitare l'innesco di una spirale pericolosa e combattere la tendenza agli stereotipi, in situazioni che possono degenerare rapidamente.Nello studio, durante uno sciopero del personale addetto alle pulizie in una stazione ferroviaria è stato chiesto a 40 viaggiatori - che si sono trovati così in mezzo alla spazzatura, sparsa ovunque - di scegliere a piacere una sedia dove accomodarsi per completare un questionario sugli stereotipi. Il primo posto a sedere della fila era occupato da una persona di razza diversa rispetto a quella degli intervistati. Lo stesso esercizio è stato poi ripetuto a distanza di un giorno, con la stazione tornata ordinata e pulita. Durante lo sciopero, la gente ha scelto decisamente di sedersi lontano dalla persona di razza diversa, cosa che non è avvenuta quando la stazione era pulita. Un altro test è stato fatto per strada: ai passanti veniva chiesto sempre di rispondere a un questionario sugli stereotipi in due diverse condizioni ambientali. La prima, in un contesto disordonato e "degradato", con auto parcheggiate male e lasciate coi finestrini aperti, biciclette abbandonate e pavimentazione stradale sconnessa. La stessa strada veniva poi riordinata e l'esperimento ripetuto. Risultato? Nel secondo caso i passanti discriminavano molto meno ed erano maggiormente disposti a fare donazioni a favore delle minoranze etniche. Risultati analoghi si sono avuti in ulteriori studi in laboratorio. "Come psicologo sociale mi interessa molto come le situazioni concrete, piuttosto che la biologia o i tratti della personalità, possano influenzare il comportamento della gente", racconta il dottor Stapel. I risultati dello studio sono stati un po' una sorpresa. Ce li aspettavamo, ma in modo così netto, dice il ricercatore. "L'idea era provocatoria e rischiosa, perché la gente non avverte in modo consapevole le diverse condizioni di ordine o disordine, durante l'esperimento". Ragionando a livello di base, l'ambiente ha o non ha una struttura particolare. "Può essere disordinato, asimmetrico, o ordinato e simmetrico", spiega ancora il ricercatore. E uno dei motivi per cui la gente cade negli stereotipi e discrimina nei confronti dell'altro - come è stato rilevato nell'esperimento - è che "incasellando, si dà più facilmente una struttura alla vita, la si controlla meglio". E' quindi logico presumere "che anche le differenze a livello ambientale - ordine o disordine di tipo fisico - influenzino ugualmente il livello di ricorso agli stereotipi". E portino a reazioni altrettanto stereotipate, come mantenere le distanze dall'altro, rifiutarsi di dare una mano a chi ne ha bisogno. Per gli autori dello studio, il ricorso alla generalizzazione eccessiva e ai luoghi comuni è un "meccanismo mentale di pulizia, che aiuta la gente ad affrontare il caos fisico". Una reazione universale, perché avviene ad un livello cognitivo di base, comune, quindi, a culture diverse e non dipendente da specifici contesti. E che porta a riflettere sui rischi sociali di un improvviso disordine su larga scala, come nel caso di un attentato terroristico, un disastro naturale, una crisi economica o politica: situazioni in cui, a tutte le latitudini, la gente sembra portata a reagire cercando ordine e struttura. "E' uno dei fattori principali che guidano il comportamento", conclude Stapel. "Di fronte alla casualità degli eventi, ai disastri, all'assurdità di tante situazioni, si cerca significato e prevedibilità. E' un'esigenza comune a tutti, in gradi diversi. Che permette di rendere la vita affrontabile".
(12 aprile 2011)

Tratto da:
http://www.repubblica.it/scienze/2011/04/12/news/ambiente_disordinato_razzismo-14627210/
Non è l’ambiente che favorisce gli stereotipi razzisti, ma l’educazione cristiana che priva le persone degli strumenti adeguati con cui padroneggiare un ambiente che sentono estraneo ed aggressivo. Non è il loro dio padrone che crea il mondo, ma il mondo avviene per adattamento dei soggetti che nel mondo vivono. Questo sconvolge il cristiano che, abituato a non scegliere, ma ad obbedire agli ordini imposti, vede il suo mondo modificarsi ed egli perdere il controllo su quel mondo. Così tutti sono i suoi nemici. E dal momento che non ha strumenti per agire, si sceglie i nemici più deboli inserendoli in categorie ataviche che mette in moto al fine di dissetare la sua angoscia di vivere. Più o meno come l’omosessuale represso che odia gli omosessuali manifesti perché costoro hanno il coraggio di affrontare la loro vita e di pretendere una veicolazione delle loro pulsioni che lui non ha.

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11 maggio 2011
Claudio Simeoni
Meccanico
Apprendista Stregone
Guardiano dell’Anticristo
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